Sogno di un campo di mezza estate

Sogno di un campo di mezza estate

Come far dormire i ragazzi, la sicurezza. Il sogno che si potrebbe trasformare in incubo. Non è la cena pesante che tiene sveglio il Capo. Farli mangiare, le mascherine, il gel e le distanze. Il retrogusto di una decisione difficile, la voglia di fare, un decreto che pone vincoli. Sentieri che portano al lago che spariscono, reti di recinzione abusive. Un occhio ai ragazzi e uno alle attività. Un altro occhio (ma quanti occhi ha il Capo?) al meteo, che se piove piùdivertenteancorsarà ma è un problema. Il sole che spacca i campi, nemmeno fosse il quattrocentoventi di Trilussiana memoria, non è migliore.

Si è Esploratori per età e per vocazione, si esplora la vita, annusandola forte, che quell’odore di scout al campo, misto di fuoco e sudore, elisir di filagna e legatura quadra, li accompagnerà tutta la vita, qualsiasi cosa faranno.

Il capo è solo. Gavette. Tende individuali, ma al Capo – che ne sa sempre una più del Diavolo – non vanno bene. Troppe 26 tende, c’è chi non ce l’ha. Allora vai di telino quadro, sottocampo di pattuglia, rifugi individuali trasformati in (s)comodi alloggi per adolescenti. Insieme, ma distanziati. Sotto lo stesso cielo, sotto le stesse stelle.

La fatica impensabile di organizzare un campo, seguendo le regole attuali, riuscendo a far vivere l’emozione dello svegliarsi insieme anche a chi non si è mai allontanato da casa. Qualche Rover a dare una mano, diciotto anni e la voglia di sollevare il mondo, a loro non serve nemmeno una leva. Fatica di conciliare leggi e desideri senza contrapporli. Le leggi, scout o meno, per prima cosa si rispettano. I desideri anche, lo stare insieme e il camminare, il fuoco la sera, la pasta scotta ma buonissima, con quel condimento di aglio, olio e impegno. Con il fiorire di ukulele sempre meno scordati nascono canzoni spontanee, gli sguardi dei ragazzi che si cercano, un sorriso e un primo amore che nasce tra le pentole da lavare.

I richiami del capopattuglia, c’è da fare legna, da pulire bagni e sottocampi. Qualcuno ride, qualcuno litiga e poi fa pace. Uniformi approssimative che si trasformano in perfezione al quadrato, dove terranno i ferri da stiro e le stampelle questi diavoli in verde? La tintoria più vicina è su Marte, ma le camice sembrano appena stirate da mamma.

Gli urli al quadrato, Falchi e Tigri, Pantere, Gufi e Corvi. Uniti fino alla fine, oltre le stelle, dall’oscurità, regine della giungla, occhi che brillano. Esploratori, nessuna lagna. E’ un inizio e una fine, cicli che si ripetono, visi che cambiano, entrano bambini ed escono quasi uomo o donna. Quattro anni a costruire su loro stessi, il Capo che guarda, mai soddisfatto all’apparenza, ma fiero e orgoglioso.

Crescono, i semi che sembravano persi invece attecchiscono e danno fiori profumati del fuoco di BP.
Ammaina, chi passerà in compagnia a fare l’alfiere per l’ultima volta. Dietro lo sguardo quasi indolente sale l’invocazione, il tono alto, è la voce della maturità che avvolge tutto il Reparto. Qualche lacrima, che i simboli servono a unire le emozioni. Senza cuore non c’è Bandiera che tenga.
Il Capo è solo. Si guarda intorno. Lo guardo, mentre scende il Tricolore. L’emozione – questa volta – non è per il bianco il rosso e il verde. Ma per quei colori che hanno accompagnato questo sogno, a metà di questa estate strana.


Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita. (W. Shakespeare)

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